"Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte"
J. R. Tolkien

sabato 28 ottobre 2006

Iran estate 2006

Teheran porta avanti il suo programma nucleare scivolando tra le maglie degli ispettori dell’Agenzia atomica, degli ultimatun del Consiglio di Sicurezza e delle trattative europee.
Il caso Iran era stato deferito al Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite e, con la risoluzione 1696, era stata presentata a Teheran il 31 agosto come data entro la quale far cessare le sperimentazioni sull’arricchimento dell’uranio, pena le sanzioni economiche. La risposta si è fatta attendere fino all’ultimo ed è stata decisa: la repubblica islamica non rinuncerà al nucleare. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad, il ministro degli Esteri Manoucheher Mottaki e il capo negoziatore Ali Larijani esprimono in termini diversi la stessa decisione ribadendo che ogni studio ha per solo scopo quello di ottenere energia per uso civile.
I timori della diplomazia internazionale, e statunitense in particolare, sono rivolti però alle centrifughe che permettono di lavare con il fluoro l’uranio e ottenere uranio arricchito. L’uranio presente nel sottosuolo iraniano non è, infatti, materiale fissile, utilizzabile nei reattori delle centrali elettriche, e deve essere trattato affinché abbia sufficienti atomi radioattivi. Il rischio, secondo gli esperti del Pentagono, è che Teheran voglia mascherare dietro i piani per uso civile dell’uranio i progetti per una bomba atomica. La teocrazia sciita diventerebbe una potenza nucleare nella regione, capace di intimidire i vicini sunniti e Israele, più volte minacciato di distruzione da Ahmadinejad.
Il presidente iraniano, sin dalla sua elezione nel 2004, ha collezionato dichiarazioni intransigenti e talvolta ad effetto, come quando negò l’Olocausto, e nel sostenere il diritto del suo Paese al nucleare esibisce la sicurezza che lo fa amare dell’elite militare e dai pasdaran, nelle file dei quali ha militato. Maggiore preoccupazione cresce tra i membri storici della rivoluzione del 1979, conservatori come Ahmadinejad, ma più attenti alle conseguenze economiche delle sanzioni. L’ex premier Ali Rafsanjani, molto vicino all’ayatollah Ali Kahmenei, ha ben chiare le ripercussioni sull’economia del Paese in caso di embargo petrolifero: ha ben 36 società che estraggono ed esportano greggio fuori da una nazione che naviga sul petrolio ma non ha stabilimenti per raffinarlo. La possibilità che l’ONU imponga sanzioni è concreto e si potrebbe andare dal congelamento dei conti esteri all’embargo per le parti di materiale bellico. Gli Stati Uniti sono pronti a dare il loro assenso e ripetono che, secondo i loro tecnici, entro cinque o otto anni l’Iran potrebbe avere l’atomica, ma si scontrano con l’atteggiamento più prudente di Russia e Cina. La Russia ha solidi rapporti commerciali con Teheran e ha cercato di risolvere la crisi nucleare proponendole, inutilmente, di proseguire le sperimentazioni in territorio russo. la Cina, in pieno boom economico, non è pronta a rinunciare al greggio che fornisce carburante a svariati milioni di veicoli nell’Impero di Mezzo.

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