"Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte"
J. R. Tolkien

sabato 28 ottobre 2006

qualcosa di quello che ho scritto in questa estate 2006

/08/2006

La mano di Teheran si stende sul diciottesimo giorno della crisi libanese. Dai campi di addestramento iraniani Hezbollah avrebbe richiamato almeno 120 militanti, indipendentemente dal livello di addestramento raggiunto, e avrebbe organizzato commandos specializzati per gli attacchi dal mare e con i deltaplani.
Le reclute nella repubblica islamica hanno imparato le tecniche della guerriglia, a usare razzi a lunga gittata, missili anti aerei di fabbricazione russa e cinese e missili anti nave. Alcuni miliziani sono stati istruiti anche da esperti nordcoreni per formare reparti speciali per missioni suicide: si dovrebbero introdurre in territorio israeliano con deltaplani a vela o a motore o attaccare da piccole e veloci navi cinesi.
A coordinare le operazioni sarebbero il capo dell’apparato clandestino di Hezbollah Imad Mugnyeh e gli iraniani Kassem Suleymany e il suo vice Mustafà Rabei, entrambi ai vertici della “Forza Al Quods”, dedicata al sostegno dei gruppi di guerriglieri e terroristici. Dalla repubblica islamica non giungono però solo pasdaran pronti a diventare istruttori ma anche armamenti. I razzi a lunga gittata Fajir 3 e 5 e forse dei minisub dovrebbero entrare a far parte dell’arsenale di Hezbollah. Il materiale bellico, che il partito di Dio concentra nella valle della Beka, arriverà in Libano attraverso una rete di tunnel lunga 25 chilometri. L’opera di scavo è stata portata a termine da tecnici nordcoreani che l’Iran ha assunto come personale di ambasciata.
Teheran porta avanti il suo programma nucleare scivolando tra le maglie degli ispettori dell’Agenzia atomica, degli ultimatun del Consiglio di Sicurezza e delle trattative europee.
Il caso Iran era stato deferito al Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite e, con la risoluzione 1696, era stata presentata a Teheran il 31 agosto come data entro la quale far cessare le sperimentazioni sull’arricchimento dell’uranio, pena le sanzioni economiche. La risposta si è fatta attendere fino all’ultimo ed è stata decisa: la repubblica islamica non rinuncerà al nucleare. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad, il ministro degli Esteri Manoucheher Mottaki e il capo negoziatore Ali Larijani esprimono in termini diversi la stessa decisione ribadendo che ogni studio ha per solo scopo quello di ottenere energia per uso civile.
I timori della diplomazia internazionale, e statunitense in particolare, sono rivolti però alle centrifughe che permettono di lavare con il fluoro l’uranio e ottenere uranio arricchito. L’uranio presente nel sottosuolo iraniano non è, infatti, materiale fissile, utilizzabile nei reattori delle centrali elettriche, e deve essere trattato affinché abbia sufficienti atomi radioattivi. Il rischio, secondo gli esperti del Pentagono, è che Teheran voglia mascherare dietro i piani per uso civile dell’uranio i progetti per una bomba atomica. La teocrazia sciita diventerebbe una potenza nucleare nella regione, capace di intimidire i vicini sunniti e Israele, più volte minacciato di distruzione da Ahmadinejad.
Il presidente iraniano, sin dalla sua elezione nel 2004, ha collezionato dichiarazioni intransigenti e talvolta ad effetto, come quando negò l’Olocausto, e nel sostenere il diritto del suo Paese al nucleare esibisce la sicurezza che lo fa amare dell’elite militare e dai pasdaran, nelle file dei quali ha militato. Maggiore preoccupazione cresce tra i membri storici della rivoluzione del 1979, conservatori come Ahmadinejad, ma più attenti alle conseguenze economiche delle sanzioni. L’ex premier Ali Rafsanjani, molto vicino all’ayatollah Ali Kahmenei, ha ben chiare le ripercussioni sull’economia del Paese in caso di embargo petrolifero: ha ben 36 società che estraggono ed esportano greggio fuori da una nazione che naviga sul petrolio ma non ha stabilimenti per raffinarlo. La possibilità che l’ONU imponga sanzioni è concreto e si potrebbe andare dal congelamento dei conti esteri all’embargo per le parti di materiale bellico. Gli Stati Uniti sono pronti a dare il loro assenso e ripetono che, secondo i loro tecnici, entro cinque o otto anni l’Iran potrebbe avere l’atomica, ma si scontrano con l’atteggiamento più prudente di Russia e Cina. La Russia ha solidi rapporti commerciali con Teheran e ha cercato di risolvere la crisi nucleare proponendole, inutilmente, di proseguire le sperimentazioni in territorio russo. la Cina, in pieno boom economico, non è pronta a rinunciare al greggio che fornisce carburante a svariati milioni di veicoli nell’Impero di Mezzo.
La crisi libanese, iniziata con il rapimento da parte di Hezbollah di tre soldati israeliani e la reazione militare israeliana, ha solo in parte distolto l’attenzione. Alcuni analisti vedono infatti il conflitto come un diversivo orchestrato dalla teocrazia islamica. Hezbollah fu fondata proprio da pasdaran della rivoluzione komheinista e si sospetta che dall’Iran giungano armi e militanti ben addestrati nella guerriglia.
Teheran porta avanti il suo programma nucleare scivolando tra le maglie degli ispettori dell’Agenzia atomica, degli ultimatun del Consiglio di Sicurezza e delle trattative europee.
Il caso Iran era stato deferito al Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite e, con la risoluzione 1696, era stata presentata a Teheran il 31 agosto come data entro la quale far cessare le sperimentazioni sull’arricchimento dell’uranio, pena le sanzioni economiche. La risposta si è fatta attendere fino all’ultimo ed è stata decisa: la repubblica islamica non rinuncerà al nucleare. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad, il ministro degli Esteri Manoucheher Mottaki e il capo negoziatore Ali Larijani esprimono in termini diversi la stessa decisione ribadendo che ogni studio ha per solo scopo quello di ottenere energia per uso civile.
I timori della diplomazia internazionale, e statunitense in particolare, sono rivolti però alle centrifughe che permettono di lavare con il fluoro l’uranio e ottenere uranio arricchito. L’uranio presente nel sottosuolo iraniano non è, infatti, materiale fissile, utilizzabile nei reattori delle centrali elettriche, e deve essere trattato affinché abbia sufficienti atomi radioattivi. Il rischio, secondo gli esperti del Pentagono, è che Teheran voglia mascherare dietro i piani per uso civile dell’uranio i progetti per una bomba atomica. La teocrazia sciita diventerebbe una potenza nucleare nella regione, capace di intimidire i vicini sunniti e Israele, più volte minacciato di distruzione da Ahmadinejad.
Il presidente iraniano, sin dalla sua elezione nel 2004, ha collezionato dichiarazioni intransigenti e talvolta ad effetto, come quando negò l’Olocausto, e nel sostenere il diritto del suo Paese al nucleare esibisce la sicurezza che lo fa amare dell’elite militare e dai pasdaran, nelle file dei quali ha militato. Maggiore preoccupazione cresce tra i membri storici della rivoluzione del 1979, conservatori come Ahmadinejad, ma più attenti alle conseguenze economiche delle sanzioni. L’ex premier Ali Rafsanjani, molto vicino all’ayatollah Ali Kahmenei, ha ben chiare le ripercussioni sull’economia del Paese in caso di embargo petrolifero: ha ben 36 società che estraggono ed esportano greggio fuori da una nazione che naviga sul petrolio ma non ha stabilimenti per raffinarlo. La possibilità che l’ONU imponga sanzioni è concreto e si potrebbe andare dal congelamento dei conti esteri all’embargo per le parti di materiale bellico. Gli Stati Uniti sono pronti a dare il loro assenso e ripetono che, secondo i loro tecnici, entro cinque o otto anni l’Iran potrebbe avere l’atomica, ma si scontrano con l’atteggiamento più prudente di Russia e Cina. La Russia ha solidi rapporti commerciali con Teheran e ha cercato di risolvere la crisi nucleare proponendole, inutilmente, di proseguire le sperimentazioni in territorio russo. la Cina, in pieno boom economico, non è pronta a rinunciare al greggio che fornisce carburante a svariati milioni di veicoli nell’Impero di Mezzo.
La crisi libanese, iniziata con il rapimento da parte di Hezbollah di tre soldati israeliani e la reazione militare israeliana, ha solo in parte distolto l’attenzione. Alcuni analisti vedono infatti il conflitto come un diversivo orchestrato dalla teocrazia islamica. Hezbollah fu fondata proprio da pasdaran della rivoluzione komheinista e si sospetta che dall’Iran giungano armi e militanti ben addestrati nella guerriglia.

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