"Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte"
J. R. Tolkien

lunedì 19 novembre 2007

Il colore della Birmania è il rosso

Il colore della Birmania è il rosso: il rosso della bandiera, il rosso delle tuniche dei monaci, il rosso del sangue della repressione e il rosso dei rubini.
Se dalla Birmania non giungono che scarse notizie e rare immagini, non si arresta un commercio che frutta al governo militare 300 milioni di dollari e al genero del dittatore Than Shwe fino a 1,5 miliardi di dollari. Come i diamanti della Sierra Leone, anche i rubini birmani giungono negli Stati Uniti e in Europa per finire nelle vetrine delle gioiellerie e alle dita di ignare signore. Nonostante le sanzioni economiche decise per far pressione sul governo della giunta militare, le gemme giungono ugualmente sui mercati occidentali con un banale escamotage ideato nel 2004 dalla dogana americana: le pietre grezze vengono portate in India e Thailandia e lì acquistano una nuova identità in qualità di pietre tagliate e pulite.
I rubini vengono strappati dalle profondità della terra dai 500 mila minatori, per la maggior parte ragazzi con meno di 14 anni, imbottiti di anfetamine e di eroina affinché sopportino meglio i ritmi e le dure condizioni di lavoro. La Birmania infatti non è solo il primo produttore mondiale di rubini, ma anche il primo esportatore di metanfetamine e il secondo produttore di oppio. Qualcuno potrebbe sostenere che una vera rottura dei rapporti commerciali e la lotta al traffico di droga potrebbe mettere in difficoltà i militari arroccati nella nuova capitale Naypyidaw, nascosta nel cuore della foresta, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e in questo caso un mare di gas. Il sottosuolo birmano è infatti ricco di gas naturale che fa entrare nelle casse del regime 2 miliardi di dollari e l’Unione Europea, nel decidere l’inasprimento delle sanzioni economiche il 15 ottobre scorso, ha deciso di non porre divieti proprio sul gas. Total e la sua partner Chevron ringraziano, continuano a gestire il gasdotto di Yadana.
Come spesso accade nelle aree aggredite dalla miseria, a fare le spese di contorti rapporti commerciali sono i più piccoli, impegnati nell’artigianato, nella lavorazione del pregiato legno teak e nell’estrazione di gemme. Lavorare in miniera e nei capannoni non è neppure l’unico modo in cui i giovanissimi birmani vengono privati dell’infanzia: di fronte alla diserzione dei soldati che si rifiutavano di usare violenza contro la pacifica protesta dei monaci, il regime ha reclutato a forza ragazzini e perfino bambini di 10 anni.
Mentre l’onda emotiva si stempera e un’informazione a macchia di leopardo abbandona un Paese che senza corredo di immagini non fa notizia, la Birmania rischia di bruciare il suo futuro.

Valeria Radiconcini
Pubblicato su Liberamente

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