"Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte"
J. R. Tolkien

lunedì 10 settembre 2007

Lirio Abbate: un cronista a Palermo

La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda nel fondo di un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giu’ non c’è né il sole né la luna: c’è la verità. Lo scriveva Sciascia trentacinque anni fa’ e Lirio Abbate, oggi, nel 2007, nel pozzo ci si è buttato. Ha indagato da giornalista i sottili rapporti tra mafia e politica, tra capi mandamento e politicanti, tra boss e esponenti noti della vita politica, con il libro "I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento". Ora è sotto scorta e il primo settembre è stato trovato sotto la sua auto un piccolo ordigno, non lo avrebbe ucciso scoppiando, ma non scoppiando il suo messaggio lo ha recapitato ugualmente.
Quando le intercettazioni telefoniche effettuate nel popolare quartiere palermitano di Brancaccio avevano portato alla luce un piano per ucciderlo, Abbate, cronista della redazione Ansa di Palermo e corrispondente per La Stampa, aveva visto pubblicare da appena un mese il suo volume scritto a quattro mani con Peter Gomez. Trasferito subito in redazione centrale, a Roma, torna in Sicilia in agosto e l’intimidazione arriva. "Una piccola carica, – commenta il giornalista – non volevano uccidere. Ma farmi capire che possono farlo". Se ti butti nel pozzo rischi di affogare. Guardando dietro agli arresti eclatanti di boss nascosti nelle masserie tra ricotta e cicoria, ricomponendo un mosaico di atti giudiziari, deposizioni e intercettazioni, si può mettere a nudo la rete di connivenze che permette alla mafia la sua esistenza da parassita dello Stato. E se la camorra che minaccia Roberto Saviano, l’autore del libro-inchiesta "Gomorra", sa anche compiacersi di una certa spettacolarità, la mafia che è passata dalla doppietta al doppiopetto vuole discrezione e meno che meno i suoi affari messi nero su bianco.
Il lavoro di cronista a Palermo o è accurato o non è, sostiene Abbate, per questo vent’anni fa’ ebbe bisogno della scorta dopo aver scritto di un boss delle Madonie, per questo quando arrestarono Provenzano era lì, unico giornalista presente. Eppure Abbate non è uno che non ha nulla da perdere, ha una vita, una moglie, una bambina di dieci mesi… Perché restare a Palermo? "Per onore. – risponde Abbate – Sì, per onore! Non per il mostruoso, folle ridicolo onore di cui si riempiono la bocca mafiosi deboli con i forti e forti con i più deboli, ma per quell’onore che mi chiede di avere rispetto di me stesso, che mi impedisce di inchinarmi alla forza e alla paura, di scendere a patti con ciò che disprezzo. Quell’onore che molti siciliani hanno dimenticato di coltivare"

Valeria Radiconcini

Pubblicato su Liberamente

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